lucioperca lago como

Il lucioperca, o sandra, è una di quelle specie che si sono diffuse maggiormente negli ultimi anni, espandendosi in tutto il Nord e Centro Italia, e colonizzando vari tipi di acque del piano, dai grandi laghi, ai fiumi, ai canali, ai bacini artificiali.

Tuttavia, a fronte di una così ampia presenza, non si è ancora diffusa nel nostro Paese una pesca specifica di questo splendido predatore, con la conseguenza che, il più delle volte, la sua cattura avviene in modo del tutto occasionale, ricercando altre specie.

Per conoscere le tecniche più adatte ci siamo dunque rivolti a colui che è attualmente considerato il più profondo esperto di lucioperca in circolazione, ovvero Roberto Cantaluppi, meglio noto come Ropino.

Raggiungiamo Ropino a Como, nel suo fornitissimo negozio di pesca situato proprio all’uscita autostradale Como Nord, e pieno di foto di splendidi pesci, tra cui spiccano diversi grossi lucioperca pescati nel vicino Lago di Lugano.

– Ropino, parlaci del lucioperca.

Il lucioperca, conosciuto dalle mie parti semplicemente come perca, è originario del bacino del Danubio e dell’Europa Nord-orientale. La sua presenza è stata segnalata sul Lago di Lugano a partire dei primi anni Settanta, si pensa introdotto accidentalmente dalle autorità elvetiche, ma il “boom” demografico della specie si è verificato solo dalla metà degli anni Ottanta. Da allora, la sua diffusione si è manifestata in modo discontinuo, con annate di autentiche “invasioni”, a cui ne seguivano altre in cui la presenza della specie appariva nettamente ridimensionata.

I primi perca sono stati catturati col pesce vivo da pescatori intenti alla ricerca del luccio, e talvolta anche con esche artificiali destinate sempre a lucci, persici o boccaloni. Si trattava però, è bene intenderci, di catture occasionali, visto che non si conoscevano ancora le abitudini e il comportamento del perca, del tutto peculiari e diverse da qualsiasi altro predatore.

– Spiegati meglio…

Il perca, durante la gran parte dell’anno, si mantiene a stretto contatto col fondo, da dove tende agguati alle sue prede tramite brevi e repentini scatti, ingoiando poi la vittima sul posto. È necessaria dunque una tecnica specifica, che possa fare lavorare l’esca con precisione sul fondo, e che consenta nel contempo di cercare la preda in un ampio raggio.

– In pratica, ti riferisci ad una tecnica in grado di combinare i vantaggi della pesca col vivo, ovvero l’esca migliore al posto giusto, con la dinamicità dello spinning.

Esatto, e questo sistema si chiama morto manovrato o, meglio, sistema Drachkovitch.

– Illuminaci…

tecnica con il morto manovrato

La tecnica del morto manovrato, quella che può definirsi propriamente tale, e cioè che impiega un piccolo pesce morto innescato in modo da potere avere un certo movimento, nasce in Francia nel secondo dopoguerra, ove ha conosciuto un notevole successo proprio in parallelo con l’espansione del perca nelle acque di quel paese. Tuttavia, il sistema ha conosciuto la configurazione attuale grazie ad un leggendario pescatore franco-polacco, Albert Drachkovich, il quale, all’inizio degli anni Ottanta, ha messo a punto una particolare montatura dall’efficacia straordinaria, in grado da un lato di conferire al piccolo pesce morto innescato la stessa plasticità di movimento di un pesce vivo, e dall’altro di consentire all’esca di sopportare lanci ripetuti e nel contempo di sondare ogni anfratto e dislivello del fondo.

– Parlaci dell’attrezzatura necessaria.

Cominciamo dalla canna.

L’attrezzo ideale deve essere rigido e potente, ma nel contempo sensibile, leggero ed equilibrato, in modo da permettere sia il massimo grado di percezione dell’esca che di recuperare con sicurezza pesci grossi e combattivi da ambienti decisamente infrascati. Attualmente il mercato offre una certa gamma di modelli specifici per il morto manovrato, di vario livello. Consiglio, ad ogni modo, un attrezzo di buona qualità, solido e affidabile, e di lunghezza compresa tra i 2,40 e i 3.00 metri.

La scelta del mulinello, invece, non pone particolari problemi. Deve comunque trattarsi di un modello robusto e dalla buona meccanica, e da scegliersi nella misura 3 o 4, con una capienza di almeno 150 metri di filo dello 0.30 millimetri.

Il filo che viene imbobinato deve essere invece di ottima qualità, rigida, dalla scarsa memoria meccanica e di un certo carico di rottura, diciamo dello 0,30 nel caso del monofilo. È fondamentale, in ogni caso, che lo stesso sia di colore giallo o comunque fluorescente, in modo da sapere sempre dove sia l’esca. Ma le lenze migliori devono considerarsi i trecciati, i quali abbinano ad un elevatissimo carico di rottura una totale assenza di elasticità.

– E poi ci sono le montature…

Esatto. Le montature Drachkovitch di cui accennavo prima sono attualmente disponibili in commercio in vari modelli e misure. Tutte sono comunque caratterizzate da una forcella in acciaio che va inserita nella bocca del pesciolino morto, e che è collegata a due corti braccioli sempre in acciaio di diversa lunghezza e muniti di ancorette, che vengono fissate ciascuna su un fianco dell’esca, e ad uno spezzone di filo di rame, da avvolgere attorno alla testa. Inoltre, la montatura è completata da un attacco, anche questo in acciaio, a cui va fissato un pallettone di piombo spaccato, intercambiabile a seconda delle esigenze e dal peso oscillante tra 4 e 12 grammi, e che funge oltre che da zavorra anche da stabilizzatore. La lenza andrà poi collegata a tale attacco. La montatura, se ben eseguita, conferirà un’eccezionale mobilità e plasticità all’esca, del tutto identica a quella di un pesce vivo, e col vantaggio, direi notevole, di potere fare una lunga serie di lanci senza dovere cambiare l’esca. Consiglio comunque, per il perca, modelli in grado di potere essere impiegati con pesci esca di lunghezza compresa tra i 6 e i 10 centimetri, e dalla forma allungata, come alborelle, triotti, scardolette e vaironi.

– Resta da spiegare l’azione di pesca.

Il nostro scopo è quello di andare a cercare il perca nella propria tana, vista la sua scarsa attitudine agli inseguimenti in velocità. Dobbiamo pertanto portare l’esca nei pressi del fondo, e lì saperla lavorare in modo da interessare al nostro obiettivo.

– Sembra facile… Ma come evitare di incagliare sul fondo, oppure di finire col lavorare troppo al di sopra del pesce?

Vedi, la montatura Drachkovitch è concepita proprio per ovviare a questi problemi. Infatti, la sua incredibile “manovrabilità” consente di lavorare il pesce esca a stretto contatto col fondo senza attaccarsi allo stesso, e nel contempo di imitare il nuoto di un piccolo pesce in difficoltà, e spingere così il perca all’attacco. È importante, ad ogni modo, sapere abbinare la piombatura giusta alla situazione, al fine di ottenere il giusto equilibrio tra movimento e contatto col fondo.

– D’accordo, ma non ci hai ancora spiegato come si fa ad imprimere alla montatura un movimento tanto adescante.

È qui che entra in gioco il resto dell’attrezzatura, e in particolare una canna particolarmente rigida e maneggevole e un filo visibile e il meno elastico possibile. Il nostro scopo consiste infatti nel fare corrispondere al minimo movimento della canna un corrispondente movimento dell’esca.

Ti spiego comunque la corretta azione di recupero. Si lancia l’esca verso l’obiettivo, tenendo la canna in posizione obliqua. È opportuno frenare la caduta del pesce, sfiorando la bobina del filo col dito indice della mano destra tramite una pressione crescente, fino a frenare completamente il filo in uscita un attimo prima che l’esca tocchi l’acqua. È sempre bene, poi, accompagnare la discesa del pesce verso il fondo chiudendo subito l’archetto del mulinello, in modo da evitare che il filo si distenda provocando un dannoso calo della tensione. Una volta che il piombo ha toccato il fondo, si porta la canna dalla posizione obliqua a quella quasi orizzontale sull’acqua, poi la si alza nuovamente con brevi e secchi strappetti fino a riportarla ad una posizione di 45 gradi sull’acqua. Così facendo, il pesce esca si alza dal fondo, per poi discendere con lentezza. L’operazione viene ripetuta, sondando metodicamente il fondale, sino al recupero completo.

Durante l’azione di pesca, è importante seguire costantemente con lo sguardo la posizione del filo, ferrando immediatamente ad ogni movimento “strano” della lenza, quali spostamenti laterali, improvvisi cali o appesantimenti della tensione, tirate e secche e così via. Infatti il perca è repentino ed elusivo anche nella mangiata, e un solo attimo di esitazione potrebbe significare la perdita del pesce. Posso garantire che molte volte il nostro amico è in grado di “sfilettare” con i suoi denti radi ma affilati il pesce esca, senza il pescatore non riesca nemmeno ad accorgersene.

esca

Nel caso in cui, invece, si riesca a ferrare il perca, ha inizio un combattimento impegnativo, che va condotto con autorevolezza, cercando di impedire al pesce di guadagnare qualche ostacolo del fondo, e spezzare così la lenza.

In ogni caso, la lotta con una grossa sandra è esaltante e incerta fino all’ultimo momento, e solo quando la nostra preda è finita nel guadino si può essere sicuri del buon esito del combattimento.

– E per i luoghi e i momenti giusti, cosa puoi dirci?

In questo periodo, l’autunno, il perca si trova nei pressi delle rive. È dunque opportuno, operando sia dalla barca che da terra, concentrarsi attorno alla “corona”, ovvero quel brusco dislivello tra spiaggia e fondale, e soprattutto nei pressi ogni ostacolo sommerso, quali rocce, rami e tronchi. Altre località particolarmente adatte alla stagione sono poi le foci dei corsi d’acqua, divieti permettendo. Gli orari più adatti sono poi quelli serali e notturni, ma non è una regola, tant’è che spesso vale la pena tentare durante tutta la giornata.

– Tutto qui, allora?

Direi di sì. Devo fare però un’ultima raccomandazione: il lucioperca è un pesce che supera, e con una certa frequenza, i 10 chili di peso. Le misure minime vigenti in Italia non tutelano certamente questa specie, la cui sopravvivenza è rimessa dunque in gran parte al buon senso dei pescatori. Il mio invito consiste pertanto nel cercare di evitare stragi di “perchini” di pochi etti, e di trattenere solo quegli esemplari che superino i due-tre chili di peso, ovvero quelli che hanno già raggiunto la maturità sessuale.

Credetemi, ne guadagneremo tutti.