immagine storica della tirlindana

LA TIRLINDANA di Giovanni Maccarrone

Questo attrezzo di pesca è sicuramente il più usato dai pescatori che esercitano la loro attività dalla barca. La sua grande versatilità fa si che esso possa essere adoperato per la cattura di tutti i predatori che abitano i nostri laghi.

Per conoscere più da vicino il poliedrico attrezzo, ho avvicinato amici e conoscenti tra la cerchia dei pescatori, cercando di “spremere” notizie e segreti (per questi ultimi è stata davvero dura, stante la scarsa propensione a rendere noti i particolari più reconditi e meglio custoditi).

Alla fine si trattava di rivelare i segreti appresi nel corso degli anni, con fatica ed applicazione quasi quotidiana.

Ma, batti e ribatti, usando la pazienza, le adulazioni e la sollecitazione dei vincoli d’amicizia l’hanno spuntata, ed ho ottenuto larghe messe d’informazioni sulla tirlindana.

Tra i pescatori che mi hanno svelato i “segreti del mestiere” voglio citare Mario Marelli (papà Marelli) per la sua squisita disponibilità e per l’incalcolabile esperienza di ogni tipo di pesca che, in circa settanta anni di attività si sono stratificati nella sua memoria, anno dopo anno.

L’uso della tirlindana (o dirlindana, come recita il Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli, per il quale però questo attrezzo può essere lungo fino a 100 metri), ha un solo grosso ostacolo che ne limita la diffusione: per praticarla occorre una barca. Inoltre il natante deve essere né troppo lungo, né troppo pesante e con una buona idrodinamicità che sia di ausilio al rematore rendendogli meno pesante la fatica procuratagli dalle ore trascorse remando.

tirlindana attrezzi

Il nostro attrezzo, in fase di riposo, viene avvolto su un grande aspino che ne facilita lo svolgimento quando inizia l’azione di pesca. Per diminuire la fatica accumulata dall’uso dei remi, di solito la barca ospita due pescatori che si danno il cambio ai remi ogni mezz’ora. Chi non rema ha il compito di manovrare la tirlindana, imprimendo alla stessa piccoli strappi in avanti con l’avambraccio situato verso l’esterno della barca. Si può fare a meno del “secondo” nel caso in cui si faccia uso di motore fuoribordo.

Il “corpo” di questo attrezzo è costituito da un filo di nylon del diametro di 0,80/0,90 mm. Per zavorrarla si ricorre a piombini (a barilotto) di un grammo ciascuno, dopo l’ultimo, per mezzo di una robusta girella, si attacca il “finale”: un pezzo di nylon del n. 0,30 e lungo 5 metri. Le tirlindane più usate si dividono in tre categorie: leggera, vale a dire del peso di 100 grammi, lunga 20 metri dal primo all’ultimo piombino. I piombini a botticella di piombo “morbido” dovranno essere inseriti in questo modo: 30 a distanza di 15 cm l’uno dall’altro; 40 a distanza di 20 cm e 30 a distanza di 25 cm. Questo modello si usa nei mesi più caldi, quando i persici sono nei pressi delle rive a poca profondità.

La tirlindana media pesa 150 grammi (dal primo all’ultimo piombino) e gli stessi saranno così distribuiti: i primi 20 a 10 cm di distanza l’uno dall’altro, 45: uno ogni 15 cm; 50: uno ogni 20 cm e 35: uno ogni 25 cm. Si usa nei mesi primaverili ed autunnali.

Le tirlindane da usare nei mesi invernali saranno ovviamente le più pesanti, dovendo “lavorare” a notevoli profondità. Cominciamo con quella di 200 grammi, da usare nei mesi di fine autunno ed inizio primavera.

La lunghezza tra il primo e l’ultimo piombo sarà di 30 metri ed i piombini saranno così distribuiti. 40: uno ogni 10 cm; 130: uno ogni 15 cm; 20: uno ogni 20 cm; 10: uno ogni 10 cm.

Nei mesi più freddi dell’anno si ricorrerà alla tirlindana da 300 grammi, lunga 45 metri fra il primo e l’ultimo piombo.

Ecco come verranno distribuiti i piombini. 50: uno ogni 10 cm; 220: uno ogni 15 cm; 20: uno ogni 20 cm e 10: uno ogni 25 cm.

C’è qualche pescatore che fa uso di attrezzi ancora più pesanti per sondare profondità maggiori. In questo modo però l’attrezzo perde molta sensibilità, per cui risulta difficile avvertire il momento della abboccata.

Fra i segreti carpiti ai miei amici ce ne sono ancora un paio che vi voglio raccontare. Il primo recita che, chi prende i pesci è il rematore, mentre chi manovra l’attrezzo si limita ad un’azione meccanica. Ed è vero perché chi rema è in grado di portare la barca nei punti in cui l’esperienza accumulata gli insegna che lì ci dovrebbero essere i pesci.

Il secondo segreto riguarda le esche più efficaci. Queste sono, per i mesi estivi, piccoli rotanti del n. 2, colori preferiti il rosso ed il giallo, anche combinati tra loro. Le esche di lattice di gomma dai colori forti (tipo falcetti). Seguono i rapala (o simili) di 7-9 cm da utilizzare nei mesi invernali.

Fino a pochi anni fa sul lago di Lugano pescava con la tirlindana un abilissimo pescatore. Poiché era un tipo solitario, usciva in barca sempre da solo ed utilizzava unicamente i remi. Per azionare l’attrezzo, adoperava uno speciale aggeggio di sua invenzione. In parole povere era costituito da una pedaliera e da un’antenna, collegata alla prima per mezzo di una molla. Ad ogni pressione del piede, la leva si muoveva verso di lui, per tornare nella posizione primitiva, quando cessava l’azione del piede sulla pedaliera. Era un sistema pratico e sicuro; infatti questo astuto pescatore, difficilmente tornava a riva senza aver fatto un buon bottino.

Il recupero del monofilo deve essere compiuto con destrezza, in modo particolare quando all’amo c’è una grossa preda. Lo si deve effettuare formando sul fondo della barca una serie di spirali di filo, ampie quanto lo consente la larghezza del pavimento. Una mano deve tenere sempre saldo il filo, in modo da essere sempre pronti a rilasciare, nel caso in cui la preda, specie quando si trova in prossimità della barca, reagisca in modo violento al recupero della lenza. La manovra di recupero deve avvenire con la barca in movimento in modo tale da far mantenere sempre un minimo di tensione all’attrezzo.

Nonno Marelli

Effettuato il recupero della preda, occorre rimettere in acqua la tirlindana, avendo cura di seguire le volute delle spirali, osservandole attentamente in modo da intervenire subito nel caso si formino dei “garbugli”. La velocità di recupero della preda deve essere proporzionata alle sue dimensioni; in ogni caso però, mai essere troppo veloce. Dovrete essere certi d’avere stancato a sufficienza il pesce che ha abboccato: gli ultimi istanti dell’operazione sono i più delicati e difficili. Infatti un recupero troppo rapido può portare alla perdita del pesce, perché il suo peso, unito alla velocità della barca, facilita la fuoriuscita dell’amo, rendendo la libertà al pinnuto animale. Il guadino (sibiell) per salpare i pesci deve essere ampio, profondo e fornito di un lungo manico, un paio di metri), in modo da farvi entrare qualunque preda abbastanza discosti dalla barca.

Il sistema migliore per la pratica di questa pesca, consiste nel seguire, specie nei mesi estivi, la forma delle rive. Così facendo chi rema avrà sempre la certezza che l’attrezzo “lavori” sempre alla profondità desiderata e, soprattutto, esplori i fondali dove ritiene ci possano essere i pesci.

Nei mesi invernali questo metodo è più difficile da seguire. Infatti si deve pescare più lontani dalla “corona” della riva; senza quindi utilizzare la sua conformazione.

Occorre ugualmente seguirne le sinuosità perché la barca non deve procedere in linea retta, ma deve eseguire una costante rotta curvilinea. Nei cambi di direzione, chi tiene in mano la lenza deve stare in “campana”. Infatti nel corso di questa manovra, l’esca tende ad affondare (diminuendo La velocità del natante) ed è facile che qualche pesce decida di attaccare il facile boccone.

Se si conoscono i luoghi dove “svernano” i pesci, è bene frequentarli a lungo, zigzagando continuamente e, se il caso mutare la profondità alla quale si sta pescando.

Nel caso di una giornata di pesca finita con un ricco bottino, imprimetevi nella mente i particolari del luogo dove avete ottenuto i buoni risultati, in modo da potervi tornare nei giorni successivi.

I pesci, in special modo il persico, tendono a “svernare” in numerosi branchi, in particolari luoghi (ad esempio ampi affossamenti). Poter ricordare con precisione il luogo dove si è pescato in precedenza, può significare il successo o il fallimento di una giornata di pesca.